Mario Merola, re di Napoli e della sceneggiata
Il figlio Francesco: "Mi manca papà, lui era come il Vesuvio"
La cosa più impressionante nel vedere le immagini di repertorio della sceneggiata è assistere alla partecipazione del pubblico, una partecipazione viscerale, senza nessun freno, che fa sì che di fronte al cattivo di turno ci sia chi si alza, con il sangue agli occhi, e grida: 'fetente, io t'acciro'. Racconta Marisa Laurito che una volta sul palcoscenico fu sfiorata da un coltello lanciato da una persona del pubblico contro il malvagio della storia. C'è questo e altro nel documentario 'Il re di Napoli. Storia e leggenda di Mario Merola' di Massimo Ferrari che passa alla Festa di Roma e tra i tanti meriti ha quello di raccontare la catarsi nella sua forma più pura: quella del teatro popolare. Il pubblico della sceneggiata era quello del sottoproletariato, dei contadini del retroterra napoletano, insomma nessun borghese, come spiega il documentario. Nel film gli interventi di Gigi D'Alessio, Nino D'Angelo, Marisa Laurito, Maurizio De Giovanni e dei figli Francesco, Roberto e Loredana Merola. Dice all'ANSA il figlio Francesco, che ha raccolto l'eredità artistica di Mario Merola: "Napoli è cambiata molto dall'epoca di mio padre, ma non nel cuore delle persone. La merolite c'è ancora e sono orgoglioso di questo documentario dedicato a mio padre. Anzi lo omaggerò in quaranta teatri di tutta Italia con la sceneggiata Lacrime napuletane, affiancato da mia moglie Marianna Mercurio". Che cosa le manca di suo padre? "Il papà... quello che cantava con me sul palcoscenico, ma soprattutto il papà di casa, quello che mi diceva 'mettiti la maglia di lana che domani devi cantare'". Che rapporto c'è tra lui e i neo-melodici? "Lui non la considerava proprio questa parola. All'epoca c'era un ragazzino magro magro, si chiamava Gigi D'Alessio, mio padre ha puntato molto su questo ragazzo come ha puntato molto su Nino D'Angelo, sono tutte creature sue e lo dicono loro stessi nel documentario. Quando lui era sul palco sparivano tutti, era una montagna, come il Vesuvio".
(S.A.Dudajev--DTZ)