Filippo Arriva, uno Stabat Mater in siciliano per i migranti
Musiche di Sollima, diretto da Muti per Le vie dell'Amicizia
(di Elisabetta Stefanelli) Una madre che rifiuta la morte del figlio, dramma universale dello Stabat Mater che in dialetto siciliano antico attraversa il tempo per diventare metafora del dramma dei migranti. Nun ti scantari, nun ti scantari: "non ti spaventare", canta la madre al figlio che muore sulla croce, "sei sempre il mio piccolino e ti tengo stretto nelle mie braccia". Sui versi di Filippo Arriva, Giovanni Sollima ha composto lo struggente Stabat Mater che Riccardo Muti dirigerà per la XXVIII edizione de Le vie dell'Amicizia. Domenica 7 luglio, alle 21 al Pala De André, il concerto diretto da Muti è la prima anta di un trittico dedicato al dramma dei migranti, completato dallo spettacolo Non dirmi che hai paura (Teatro Alighieri, 8 luglio) e dal viaggio a Lampedusa, nel cui Teatro naturale della cava sarà proposto lo stesso concerto (9 luglio) e sarà filmato da RAI Cultura, per poi trasmetterlo sulla prima rete il prossimo 8 agosto. ''La colpa di tutto questo è del maestro Muti - racconta Filippo Arriva all'ANSA - è stato lui a metterci insieme. Io gli ho fatto leggere questo testo i in versi (ottonari ed endecasillabi) in siciliano antico e contemporaneo, con parole che trovi nel seicento e ancora oggi, tante parole nate dalle mie letture, di Domenico Tempio, poeta del settecento, in catanese Micio Tempio. Muti l'ha letto e mi ha chiesto, 'che ne vuole fare, facciamolo musicare e visto che c'è il dialetto, ci vuole qualcuno che lo capisce, parliamone con Sollima''. Tutto questo accadeva tra il 2021 e il 2021 ''in piena pandemia. In questo stabat gli umori della pandemia si sentono chiaramente. In quei giorni stavo ascoltando lo Stabat Mater di Pergolesi diretto da Muti, e mi sono andato a leggere il testo di Jacopone, rileggendolo come esercizio di stile perchè sono un laico, ho iniziato a tradurre il testo in siciliano ma dopo pochi versi non mi tornava e allora l'ho scritto io. L'idea è quella di una miscela tra contemporaneo e passato, come nella Crocifissione di Antonello da Messina ambientata a Messina: qui, c'è l'Etna, i ciliegi, i gelsomini gli aranci, il colore e il profumo siciliano. I quadri di Antonello sono stati di grande ispirazione per me: i suoi personaggi hanno l'abbigliamento del tempo del pittore, da qui mi è venuta l'idea di mescolare questa contemporaneità. Io sono un uomo di 71 anni che parla ancora in dialetto''. Con significati che oltrepassano il tempo. ''Lo spazio della crocifissione è l'inizio del dolore dell'umanità: la madre che piange il figlio morto, come la madre di Gaza, il bambino che muore sulla spiaggia in Turchia, non c'è nulla di più terribile. In questo testo la madre gli fa credere che non sta morendo ma che si sta addormentando, gli canta l'antica ninna nanna. Qui Sollima è stato geniale, ha alternato momenti forti ma carichi fino alla parte finale che è la ninna nanna ed è una pugnalata emotiva''. Tutti e due siciliani, con il mare a pochi metri. ''Il mare non ha colpe, è l'ingordigia dell'umanità che condanna queste povere persone a morire in acqua. C'è la morte che rode rosicchia il fiato di Cristo uccidendolo con la natura attorno che si chiude, i fiori si chiudono, l'Etna non da più lava, si spegne''. Poi, racconta ancora Arriva a margine delle prove, ''è entrato Muti che ne da un' interpretazione stupenda, nuova vita, e ci siamo infervorati io e Giovanni. Dice il maestro che è bello anche che ci sia qualcosa che non si capisce: 'nemmeno il latino si capisce del tutto, ma l'importante è che creino un clima e questo lo crea. Parola di Riccardo Muti'''.
(V.Varonivska--DTZ)